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I numeri non sono tutto

La fonte: Il Friuli Business 07-2020


Intervista al Prof. Luca Brusati, docente di Economia aziendale, Dipartimento di Scienze Economiche e Statistiche


Perché oggi non basta guardare solo al segno positivo alla fine del bilancio contabile?

Su questo tema credo ci sia già sufficiente consapevolezza nel mondo delle imprese. Generare ricchezza è il fine delle imprese, e far quadrare i conti è necessario per non dover portare i libri in tribunale, ma le altre dimensioni della performance aziendale non sono da meno. Anche in Italia si parla da vari anni di triple bottom line, cioè di triplice risultato alla fine del periodo amministrativo: contabile, ambientale e sociale. Attenzione: non stiamo parlando solo di obblighi morali! Se un’impresa danneggia l’ambiente o la società, rischia da molteplici punti di vista. Un giudizio negativo sulla performance complessiva dell’impresa rende più difficile attrarre talenti o stabilire alleanze, e induce i regolatori a imporre regole più stringenti, per non parlare dei possibili risvolti penali.

Che cosa è l’Integrated Reporting?

Con il D.Lgs. 2016/254, recependo la direttiva comunitaria del 2014, il legislatore italiano prevede che tutte le organizzazioni con oltre cinquecento dipendenti producano una “dichiarazione di carattere non finanziario”, cioè un documento che presenti i risultati ottenuti a favore dei dipendenti, dell’ambiente, della società, dei diritti umani e della lotta alla corruzione. Un tempo si chiamava bilancio sociale; oggi è più diffuso il termine “bilancio di sostenibilità”. Il principio della rendicontazione integrata prevede che queste informazioni non siano distinte dal bilancio contabile, ma ne facciano parte a tutti gli effetti. L’idea sottostante è che la performance aziendale sia un tutt’uno: non ha senso comunicare alle banche il cash flow, agli ambientalisti la carbon footprint e alla comunità il contenuto delle iniziative sociali intraprese, ma tutto deve rientrare in un unico documento.

Image source: International Federation of Accountants www.ifac.org/ 


Perché è ancora sconosciuto alle Pmi? E perché invece dovrebbero adottarlo?

La lotta per sopravvivere e crescere, e il fatto che la redazione dello stesso bilancio contabile non sia gestita all’interno, bensì affidata a un commercialista, ovviamente non aiutano. Ma l’integrated reporting non è del tutto nuovo per le PMI: alcune lo usano da anni, ovviamente più tra le medie che tra le piccole imprese. Sul perché, dipende. Una possibile risposta è “fare bella figura”: questo vale per realtà che vogliono dimostrare di seguire principi di gestione “moderni”, o puntano a quotarsi, o intendono diventare fornitrici di grandi imprese che già prevedono questo requisito. Una risposta più matura è “avere una visione a 360 gradi della performance aziendale”. Qui la logica cambia: il documento non serve più soprattutto per comunicare con gli interlocutori esterni, bensì per aiutare i soci e gli eventuali manager a capire la situazione e prendere decisioni più informate, come capita con il bilancio contabile.


Adottarlo rischia di stravolgere l’operatività a cui sono abituate le Pmi?

In termini operativi no: moltissimi dati, per esempio di tipo ambientale, vengono già raccolti per esigenze gestionali o per obbligo normativo. È possibile che quei dati siano raccolti da unità diverse all’interno dell’azienda, ma questo problema è in graduale risoluzione con la diffusione, anche nelle imprese minori, di sistemi di enterprise resource planning, cioè di software gestionali integrati. Il cambiamento richiesto è culturale: si tratta di guardare alla performance in una prospettiva più strategica e comunicare all’esterno in modo trasparente i risultati raggiunti. Da questo punto di vista il passo non è facile: molti imprenditori non sanno leggere un conto economico, e men che meno un’analisi dei flussi di cassa, e ritengono ancora che il bilancio sia un documento riservato, quando per legge è disponibile a chiunque presso le Camere di Commercio.


Come possono utilizzare poi l’Integrated Reporting per migliorare anche il proprio business?

Ottima domanda! In almeno tre modi. In primo luogo, posso interpretare meglio le interdipendenze tra dimensioni della performance che prima mi sfuggivano. Per esempio, capisco che l’immagine negativa legata al mio impatto sociale o ambientale diventa un ostacolo quando cerco personale qualificato. In secondo luogo, è la base per ragionare in modo integrato sul futuro dell’impresa. Per esempio, mi rendo conto che investire sull’efficientamento energetico permette di migliorare sia la marginalità che la performance ambientale. Infine, è la chiave di accesso a club esclusivi. Per esempio, le grandi imprese che per scelta, obbligo di legge o pressione dell’opinione pubblica si attengono a principi di sostenibilità comunicano anche la performance socio-ambientale dei propri fornitori: un bilancio integrato può dunque essere un presupposto per entrare nella loro vendor list.


In che cosa consiste il progetto che state avviando?

Come le imprese debbano redigere il bilancio contabile e quali semplificazioni siano ammissibili nel caso delle Pmi è disciplinato in modo chiaro e sostanzialmente omogeneo in tutta l’Unione Europea; questo non è vero se vogliamo osservare le dimensioni meta-economiche della performance. Il problema non è solo la molteplicità degli standard, ma anche il fatto che si basino su logiche di fondo diverse. Per garantire la leggibilità e l’attendibilità dei dati e la confrontabilità tra imprese serve invece uno standard comune. Grazie ai fondi del Programma Erasmus+ “Alleanza per la conoscenza” sei università di altrettanti Paesi hanno unito le forze con quattro associazioni di categoria a livello nazionale o comunitario per realizzare il progetto “Integrated Reporting for SME Transparency”, pensato apposta per “distillare” i principi che le Pmi europee potranno usare per redigere i propri bilanci integrati.


Quali obiettivi vi siete dati?

L’obiettivo di fondo è predisporre strumenti concreti e immediatamente utilizzabili da parte delle imprese che desiderino farlo. Per questo il progetto prevede tre pacchetti di risultati: una serie di standard, validati a livello comunitario, da utilizzare per redigere un bilancio integrato, un manuale che spieghi come utilizzare questi standard e dei moduli formativi per l’aggiornamento sia di chi redigerà il bilancio integrato, sia di chi vorrà usarlo per migliorare la gestione aziendale. Il progetto è di grande interesse a Bruxelles, dove è iniziato il dibattito per aggiornare la direttiva del 2014; nel quadro della lotta ai cambiamenti climatici, la Commissione intende rafforzare soprattutto la rendicontazione relativa all’impatto ambientale. Poiché questo aspetto è coordinato proprio dal Dipartimento di Scienze Economiche e Statistiche dell’Università di Udine, partecipare a questo progetto è una occasione preziosa per contribuire al futuro della nostra “casa comune”.

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